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Una nuova generazione di manager per coordinare gli smart worker di tutto il mondo

Con la diffusione del lavoro asincrono tra gli smart worker, le grandi multinazionali stanno introducendo un’innovativa figura professionale: il “Chief Remote Officer”. Esperienze a confronto raccontate dalla BBC e interessanti spunti per l’Italia.

Il superamento degli orari di lavoro

Per decenni, in tutto il mondo, il lavoro d’ufficio si è svolto dalle 9 alle 17 o alle 18, con una breve pausa pranzo a metà giornata. Tuttavia, con il diffondersi di team di lavoro composti da persone residenti in diversi paesi del mondo, e poi, più recentemente, con la pandemia da Covid-19, questi orari sono stati spesso messi in discussione.

In particolar modo i cosiddetti full smart worker, coloro che lavorano pressoché unicamente da remoto, stanno sempre più diffusamente adottando l’abitudine del lavoro asincrono.

Cosa significa?

I lavoratori scelgono i momenti della giornata che preferiscono, in cui si ritengono più produttivi, per raggiungere i propri obiettivi. C’è chi preferisce svegliarsi presto e lavorare quando tutti dormono, per avere parte del pomeriggio libero; chi invece, per andare a prendere i figli a scuola e dedicare loro del tempo nel pomeriggio, sceglie di lavorare fino a tardi la sera.

 

Chiaramente, questa logica di lavoro è adottabile soltanto in quei contesti in cui si lavora per obiettivi prestabiliti e non viene reputato importante “come e quando”, ma unicamente “cosa” viene prodotto entro la scadenza.

 

La necessità di un “coordinatore delle agende”

Tale stravolgimento organizzativo introdotto durante la pandemia deve essere governato dalle aziende che scelgono di dare flessibilità e fiducia ai lavoratori. Per quanto sia stato ampiamente dimostrato che il lavoro da remoto non infici la produttività, occorre che, almeno per qualche ora al giorno, le persone possano collaborare e quindi “sincronizzarsi” per svolgere alcune mansioni in gruppo.

Il lavoro asincrono è stato in primis adottato dai lavoratori del comparto informatico, che, operando principalmente soli, davanti al proprio PC, si sono adattati prima a questo mindset. E sono state proprio le grandi aziende tech, anche prima della pandemia a introdurre un innovativo ruolo professionale: il “Chief Remote Officer”.

 Non è una figura di controllo, bensì un “coordinatore delle agende”, che ha il compito di costruire una strategia di lavoro e coinvolgimento dei lavoratori residenti in diversi luoghi nel mondo: incrociare i fusi orari, trovare occasioni di Team Building, per lavorare efficacemente per obiettivi prestabiliti.

Esperienze a confronto

Intervistate dalla BBC, alcune aziende tech estere che hanno implementato la figura del Chief Remote Officer raccontano che, per coordinare migliaia di lavoratori in decine di paesi diversi, è necessario un grande sforzo di razionalizzazione. I team di lavoro vengono organizzati per competenze, ma anche per fuso orario, così da garantire una sovrapposizione degli orari di almeno 3 o 4 ore al giorno.

 

Come spiega all’emittente britannica Tsedal Neeley, professoressa in Business Administration a Harvard, “è necessario che questa figura organizzativa abbia il compito, creativo e stimolante, di ripensare in toto i processi di reclutamento, formazione, sviluppo e promozione del personale”. Il lavoro unicamente online è possibile, ma è auspicabile organizzare delle occasioni di incontro e Team Building in presenza per rafforzare la coesione e promuovere rapporti di collaborazione sani e basati sulla fiducia.

Insomma, la speranza è “che il lavoro da remoto, un giorno, diventi semplicemente lavoro”.

Anche senza considerare casi estremi di lavoro unicamente da remoto, con persone che abitano dall’altra parte del mondo, l’interessante insegnamento che si può trarre da queste innovative pratiche è che non ci si può aspettare che i lavoratori agili si comportino a casa come in ufficio, ma occorrono delle linee guida e un coordinamento per rendere il processo di lavoro efficace e i team collaborativi, anche a distanza.

 

 

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