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Cambiare tutto o tornare al passato?

Il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” richiede alle organizzazioni di ripensare il modo di lavorare, evolvendo verso un modello che permetta alle persone una realizzazione di sé a 360 gradi.

Un fenomeno che investe anche l’Italia

Iniziato nel 2021 negli Stati Uniti, il fenomeno della “Great Resignation” da un paio d’anni interessa in maniera importante anche l’Italia.

L’Aidp (Associazione italiana direzione personale) mette in guardia su questa tendenza, che ormai coinvolge il 60% delle aziende: a cambiare lavoro sono professionisti tra i 26 e i 35 anni, prevalentemente nell’area dell’informatica, del digitale, del marketing e delle vendite, per lo più impiegati nel Nord Italia.

L’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano conferma la tendenza: il 47% dei lavoratori intervistati dichiara di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di volerlo fare nei successivi 18 mesi.

Le motivazioni sono molteplici e non sempre intuitive: in Europa solo il 10% dei lavoratori si dichiara soddisfatto del proprio lavoro, e in Italia questa percentuale scende al 5%. Chi cambia lavoro lo fa per cercare condizioni economiche e bilanciamento tra vita privata e lavorativa migliori, ma non solo.

In questo scenario è fondamentale che le organizzazioni riflettano su come riorganizzare il lavoro in maniera efficace, mettendo al centro la qualità delle relazioni, la formazione e il benessere a tutto tondo del lavoratore.

I lavoratori cercano la realizzazione di sé a 360°

Difficilmente la risposta ai bisogni mutati dei lavoratori potrà essere una semplice conciliazione: i dati richiedono un ripensamento dell’intero modello di organizzazione aziendale.

La progettazione di nuovi sistemi di Welfare, organizzazione e retribuzione per venire incontro alle istanze delle persone è una sfida che si impone a tutti, alle aziende come alla Pubblica Amministrazione.

Realizzazione personale nel lavoro, fiducia, flessibilità e formazione sono i fattori su cui insistere per attrarre e mantenere talenti in azienda. Come?

Ripensando gli spazi, lo stile di leadership e gli strumenti di comunicazione, lavorando sulla fiducia e la responsabilità, anche attraverso forme di flessibilità lavorativa nuove.

Il cambiamento passa attraverso lo Smart Working

Non è certamente un caso se le "Grandi Dimissioni" sono arrivate in concomitanza ad una situazione di crisi sanitaria, politica ed economica.

L’aumento dell’incertezza, della solitudine, delle situazioni di malessere lavorativo ha determinato, in molti casi, una presa di coscienza.

Parallelamente è stato implementato quello che tutti chiamavano Smart Working, ma che in realtà era Telelavoro: inizialmente una soluzione emergenziale, proposta come unica alternativa durante il lockdown, ma che in breve tempo è diventata una nuova normalità per i lavoratori.

Il dibattito sul lavoro da remoto è cresciuto e via via si sono delineate le differenze tra il telelavoro e lo Smart Working, che implica un ripensamento dell’assetto organizzativo in toto e prevede una flessibilità inedita per i lavoratori.

Le organizzazioni in questi anni si sono trovate davanti ad un trivio:

  • tornare al pre-Covid, come se niente fosse successo, con il rischio evidente di perdere in attrattività;
  • stabilizzare la possibilità di lavorare da remoto, senza tuttavia mettere in discussione l’organizzazione del lavoro;
  • abbracciare la filosofia del lavoro per obiettivi e implementare il vero e proprio Smart Working, progressivamente intervenendo sullo stile di leadership, sugli spazi di lavoro e sulle competenze digitali.

L’Osservatorio del Politecnico di Milano, indagando sullo stato di salute e soddisfazione dei lavoratori, evidenzia come gli smart worker mostrino livelli di engagement e benessere maggiore, perché il lavoro da remoto da solo e non inserito in una cornice più ampia di cambiamento, difficilmente funziona.

Ecco, quindi la ricetta del cambiamento che le organizzazioni sono invitate a compiere per contrastare le "Grandi Dimissioni".

 

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