Diritto alla disconnessione: a che punto siamo?
Negli ultimi anni, specialmente dal periodo pandemico in poi, si è sempre più parlato di diritto alla disconnessione, ovvero della necessità di avere una legge che permetta ai dipendenti di ignorare le comunicazioni di lavoro fuori dall’orario d’ufficio.
L’equilibrio tra vita privata e professionale infatti è andato via via sfumando a causa dell’avvento del lavoro da remoto, con contatti e comunicazioni lavorative praticamente h24: i sempre più sottili confini tra lavoro e tempo libero hanno fatto che sì che la richiesta di regolamentare tale situazione diventasse sempre più insistente, una sorta di appello per uno stop al lavoro infinito.
Ma cosa si intende per diritto alla disconnessione?
Si tratta della facoltà - riconosciuta ai lavoratori - di essere reperibili solo durante l’orario di lavoro, evitando che le comunicazioni professionali invadano la vita privata.
In pratica il lavoratore ha il diritto di non rispondere a mail o telefonate professionali oltre le fasce orarie stabilite, definito dal Parlamento Europeo come «diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale».
Quali Paesi europei lo applicano?
Il lavoro agile ha sicuramente offerto vantaggi organizzativi, ma ha anche sfumato i confini tra vita professionale e personale e per questo alcuni paesi europei hanno sancito una legge che garantisce il diritto alla disconnessione.
Secondo il rapporto dell’Eurofound, attualmente sarebbero nove gli Stati membri dell’UE che hanno disciplinato il diritto: Belgio, Francia (primo paese europeo a introdurre il diritto alla disconnessione perché già previsto nel Codice del Lavoro francese del 2016), Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia, Spagna e Italia.
L’Italia
Nel nostro Paese la cultura del lavoro è per certi versi ancora radicata nella disponibilità continua come segno di dedizione, anche se l‘importanza di staccare la spina fuori dall’orario di servizio è ormai ampiamente riconosciuta.
La legge italiana non riconosce esplicitamente la disconnessione come un diritto, ma ne prevede la regolamentazione mediante contrattazione individuale tra datore di lavoro e lavoratore.
Contrariamente a quanto spesso sostenuto dai datori di lavoro, le ricerche rilevano che la categoria dei lavoratori a distanza sarebbe maggiormente propensa a lavorare più ore di quelle previste da contratto. Una questione che tocca da vicino l’Italia che, con oltre 4,7 milioni, vanta il primato in Europa per numero di freelance.
Indagine Eurofound
E’ interessante evidenziare quanto emerso dall’ultima indagine sul diritto alla disconnessione condotta da Eurofound, agenzia dell’UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e rivolta ai dipendenti aziendali di Francia, Belgio, Italia e Spagna.
Dai dati emerge che l’80% avrebbe ricevuto comunicazioni di carattere professionale al di fuori dell’orario contrattuale.
Quasi la metà lavorerebbe regolarmente per un numero di ore supplementari, su richiesta del dirigente o perché sottoposto a un carico di lavoro significativo. I motivi per cui i dipendenti rispondono alle comunicazioni fuori orario sarebbero il senso di responsabilità (82%), la volontà di non accumulare ritardi nei propri compiti (75%), il timore di ripercussioni (61%) e l’aspettativa di una progressione di carriera (50%).
Ecco perché, a tutela della salute dei lavoratori, diverse imprese stanno mettendo in campo soluzioni efficaci per promuovere la disconnessione, comprendendo la priorità sempre più impellente di quello che può essere definito benessere digitale.