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Introduzione

Nel contesto sempre più diffuso del lavoro agile, il tema del controllo a distanza dei lavoratori torna al centro dell’attenzione, soprattutto alla luce di un recente provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali. L’Autorità ha infatti ribadito in modo chiaro che la geolocalizzazione dei dipendenti in smart working è vietata, salvo il rispetto di condizioni molto specifiche.

L’intervento del Garante effettuato nel mese di marzo 2025 nasce da un caso concreto nel quale un ente tracciava la posizione dei propri dipendenti durante l’orario di lavoro.


Secondo l’Autorità, le  modalità di controllo applicate dall’ente - tra le quali l’utilizzo di un’applicazione di geolocalizzazione del lavoratore- hanno rappresentato una violazione dei principi fondamentali sanciti dal GDPR (Regolamento europeo per la protezione dei dati) e dallo Statuto dei lavoratori.

Che cosa prevede la normativa

Il quadro normativo di riferimento è molto chiaro. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta l’utilizzo di strumenti tecnologici che permettano un controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, salvo nei casi in cui sussistano esigenze organizzative, produttive o di sicurezza. Anche in queste situazioni, tuttavia, è necessario un accordo sindacale o, in alternativa, l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

A questo si aggiungono le prescrizioni del GDPR, che impongono che ogni trattamento di dati personali – comprese le informazioni sulla posizione geografica – sia giustificato, trasparente e proporzionato.

In altre parole, non basta che il datore di lavoro voglia semplicemente sapere da dove stia lavorando un dipendente: la geolocalizzazione rappresenta una forma di controllo particolarmente invasiva e, se non supportata da adeguate garanzie, è da considerarsi illecita.

La decisione del garante

Il Garante non ha escluso in toto la possibilità di monitorare l’attività dei lavoratori da remoto, ma ha precisato che devono essere adottate forme di controllo meno intrusive. Alcune delle alternative lecite e proporzionate includono:

  • la verifica degli accessi ai sistemi aziendali (log di sistema);
  • il monitoraggio dei risultati raggiunti o degli obiettivi assegnati;
  • l’utilizzo di autocertificazioni;
  • controlli ex post basati sulla performance, anziché sul luogo in cui viene svolta l’attività.

Si tratta di modalità che consentono ai datori di lavoro di verificare l’effettiva prestazione lavorativa senza compromettere la riservatezza e la dignità dei lavoratori.

La decisione del Garante rappresenta un ulteriore passo verso un equilibrio tra esigenze aziendali e tutela dei diritti dei lavoratori.

In un’epoca in cui il lavoro agile è destinato a restare, è fondamentale che il controllo non degeneri in sorveglianza.

La tecnologia può (e deve) essere uno strumento a supporto dell’organizzazione, ma mai a discapito della libertà individuale e della privacy.

Per i datori di lavoro, l’invito è chiaro: attenzione alle modalità con cui si gestisce lo smart working. Qualsiasi strumento di monitoraggio deve essere valutato con estrema cautela e sempre nel rispetto della normativa vigente.

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Ultimo aggiornamento: 20-06-2025, 10:49