L'Italia sceglie lo Smart Working
Tutto ciò emerge dalla “ Quick survey Smart Working 2.0 ” realizzata da Fondirigenti su un campione di 15mila organizzazioni italiane che hanno mostrato spirito di resilienza e adattamento su questo tema.
La ricerca analizza in particolare il ruolo dei manager nella gestione delle politiche di HR legate allo Smart Working: cresce l’employee satisfaction, ma l’assenza di rapporti sociali e di interazioni di gruppo è un aspetto complessi e potenzialmente critico. Ma andiamo per ordine.
Chi è stato intervistato?
L’indagine è stata realizzata con un’indagine on line rivolta all’intero database Fondirigenti, con 1.500 risposte in meno di 15 giorni. Hanno risposto al questionario imprese private (83,3%) soprattutto del Nord Italia, enti pubblici (1,3%), associazioni (3,3%), e liberi professionisti (9%). Un rispondente su due è manager o dirigente, seguono gli impiegati, funzionari e quadri.
Quali settori puntano allo Smart Working “permanente”?
La modalità di lavoro “agile” interesserà in prevalenza il mondo dei servizi; il terzo settore e le cooperative confermano di scegliere queste soluzioni per oltre l’85% del campione, seguono le realtà private non familiari (58%). L’innovazione continua e la capacità di adattamento messe in campo dalle organizzazioni hanno permesso di gestire il lavoro “a distanza” senza ripercussioni negative per il 56% degli intervistati.
Le PMI sono state le più virtuose (vedi Tabella in alto) per numero di lavoratori coinvolti nello Smart Working durante il primo lockdown, il 61,54% rispetto alle grandi imprese (che hanno attivato il lavoro agile sul 53,74% delle risorse). A distanza di un anno le percentuali di lavoratori in Smart Working sul totale si stanno allineando tra i profili di imprese di diverse dimensioni; la formazione e l’implementazione di strumenti tecnologici adeguati rendono i processi sempre più funzionale e efficiente.
Readiness delle imprese e percezione dei lavoratori
La readiness (prontezza) media delle organizzazioni rispondenti ritiene che il 56% dei lavoratori è propenso a sostenere uno Smart Working continuativo, più del 16% rispetto ad una precedente survey (marzo 2020). Inoltre associazioni e cooperative ritengono di poter affrontare il lavoro agile con quasi 7 lavoratori su 10, mostrando una forte flessibilità e supporto nel passaggio da “lavoro in presenza” a “lavoro da remoto”, grazie alle dotazioni tecnologiche fornite ai dipendenti. L’employee satisfaction nel praticare lo Smart Working è un dato in aumento rispetto al 2020 (3,79 vs 3,77) con un impatto positivo sul work life balance, la gestione e la flessibilità del tempo, i livelli di concentrazione, la produttività individuale e il raggiungimento degli obiettivi.
Ma è tutto “rose e fiori”?
Tra gli aspetti critici emerge quello della mancanza di rapporti sociali, a cui si affianca l’impossibilità di poter interagire fisicamente con il proprio gruppo di lavoro, elementi determinanti per lo sviluppo del pensiero creativo. È proprio a partire da tali criticità che è necessario porre in evidenza un tassello determinante per la transizione “lavoro in presenza-lavoro da remoto”: quello della formazione (soprattutto sui temi di “digital transformation”), chiave di volta per garantire un cambiamento di prospettiva e un’efficace conciliazione vita-lavoro, soprattutto se affiancata a investimenti nelle dotazioni e a nuove modalità organizzative.