Il Benessere Digitale
Cosa si intende per benessere digitale?
La Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo su sistemi e politiche per la salute (European Observatory on Health Systems and Policies) ha definito il benessere come “lo stato mentale, fisico, sociale e spirituale che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società”. Questo concetto si può intendere oggi in senso ampio: si parla di benessere collegato al lavoro, all’alimentazione, all’ambiente di vita, nonché alla sfera tecnologica.
Il benessere digitale riguarda il nostro modo di relazionarci con le macchine, nel lavoro e nella quotidianità. È un tema decisamente complesso, soprattutto alla luce del periodo storico che stiamo vivendo e dei cambiamenti radicali introdotti con il lavoro agile.
Oggi c’è la tendenza diffusa a identificare il benessere come un elemento contraddittorio rispetto alla produttività. Ma non è così: per tutelare il nostro livello di benessere è necessario cercare un equilibrio ottimale, che ci aiuti a salvaguardare il primo e allo stesso tempo a non abbassare i nostri livelli di produttività sul lavoro.
Ogni individuo ha un concetto personale di benessere digitale. Ad esempio, quando scegliamo di “settare” il nostro smartphone prima di dormire prendiamo una decisione proprio in tema di benessere digitale. È possibile scegliere se rimanere in allerta, e dunque essere pronti a rispondere a qualsiasi ora a chiamate o messaggi, oppure tutelare il sonno e il riposo, spegnendo il nostro dispositivo.
Le due concezioni dominanti di benessere
In ambito psicologico, lo studio del benessere soggettivo ha dato origine al movimento della Psicologia Positiva (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000), che prende in considerazione due prospettive:
1. Il Benessere Edonico (Kahneman, Diener & Schwarz, 1999) analizza la dimensione del piacere, inteso come benessere prettamente personale e legato a sensazioni ed emozioni positive;
2. Il Benessere Eudamonico (Ryan & Deci, 2001) si concentra sui fattori che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali e dell’autentica natura umana secondo il concetto aristotelico di eudaimonia, intesa come “ciò che è utile all’individuo” e ne arricchisce la personalità. L’eudaimonia considera la persona e il suo percorso di integrazione con il mondo circostante (Nussbaum & Sen, 1993): l’individuo “sta bene” quando non cerca esclusivamente emozioni positive o piacere, ma anche significatività, crescita personale, autorealizzazione e sviluppo di competenze.
Gli studi di psicologia affermano che ognuno di noi tende a seguire un modello di benessere, privilegiando gli aspetti della sfera edonica o eudamonica. Le persone che si dichiarano più soddisfatte hanno la capacità di bilanciare le due sfere del benessere.
Tecnologia = benessere?
Proviamo ad applicare il Paradosso della felicità alla relazione tra benessere e digitale: il sentire comune ci può far pensare che all’aumentare dei dispositivi tecnologici cresca il benessere della persona, grazie alle facilitazioni offerte dai device.
Ma non è sempre così: il digitale nasconde diverse criticità e l’obiettivo per raggiungere un buon livello di benessere è quello di individuare soluzioni efficaci per migliorare e superare tali aspetti critici.
Le dinamiche di benessere sono spesso “contro-intuitive”: mettono in discussione le nostre credenze rispetto a ciò che ipotizziamo possa essere positivo per la nostra vita.
Facciamo un esempio concreto in ambito di smart working: essere sempre connessi facilita la sfera lavorativa, ma la disconnessione può essere un elemento benefico per la sfera individuale.
Studiare il benessere digitale significa comprenderne gli aspetti contro-intuitivi, individuare metodologie per superarli e migliorare quindi il rapporto con la tecnologia.
Cos’è lo Stress Digitale?
Lo Stress Digitale o Tecnostress è un termine coniato dallo psicologo americano Craig Broad nel 1984, ma oggi attualissimo e familiare per tutti i lavoratori che si confrontano con il lavoro agile, a volte “imposto” dall’emergenza. Numerosi sono gli studi psicologici che analizzano gli effetti derivati dall’uso frequente delle tecnologie informatiche, dimostrando che i dispositivi tecnologici ci possono “stressare” in modo negativo o positivo e influire sulle performance.
Lo stress lavorativo ha un costo reale sulla produttività e conseguenze tangibili per la società: quando siamo sotto-stimolati, la nostra qualità di performance è bassa, quando superiamo un determinato livello di stimoli, entriamo in una fase di stress che può facilmente degenerare in ansia e panico.
Che conseguenze hanno questi stati sulla nostra produttività? La nostra performance, inevitabilmente, si abbassa. È quindi fondamentale cercare di bilanciare gli stimoli per lavorare al massimo delle nostre capacità.
Il nostro livello di stimoli deve rientrare in un vero e proprio range, che possa consentirci di evitare la zona di basse performance dovuta a stimoli eccessivi.
In epoca di lavoro da remoto “forzato” tutto questo può avere risvolti positivi?
Sì: si chiama Eustress o stress positivo, termine coniato dall’endocrinologo Hans Selye.
Molte persone all’inizio della pandemia si sono trovate a lavorare da remoto con poche competenze digitali di partenza: in questo caso una dose di stress ottimale ha spesso spronato gli individui a imparare, ad acquisire nuove competenze e ottenere anche un incremento in termini di soddisfazione. Apprendere cose nuove fa stare bene.
Ma esistono anche stimoli stressanti decisamente negativi. Possiamo citarne due, con esempi applicati alla sfera digitale:
1. iperconnessione, studiata e sviluppata dallo psicologo Mihàly Csíkszentmihályi, è la condizione in cui l’individuo è totalmente assorto in una specifica attività. Ogni giorno siamo sommersi da informazioni e comunicazioni che ci arrivano dai nostri dispositivi digitali continuamente; come le e-mail, che richiedono attenzione, tempo e fatica. In questo senso il digitale rompe la barriera tra vita privata e vita lavorativa, disturbando l’individuo in momenti privati o familiari;
2. sovraesposizione allo stress crea sensazioni di paura quando siamo lontani dai nostri dispositivi digitali: si tende a pensare che la mancata risposta immediata possa essere interpretata come una mancanza di interesse. Ciò accade, ad esempio, con le famose spunte blu di WhatsApp, che informano il mittente che il messaggio è stato visualizzato e “spingono” l’utente a fornire risposte immediate.
In entrambe i casi la disconnessione è identificata dall’individuo come un potenziale svantaggio, dal punto di vista lavorativo e relazionale.
Superare lo Stress Digitale
Non è affatto semplice superare lo stress che deriva dalla mole di informazioni che riceviamo ogni giorno dalle tecnologie digitali. Spesso si tende ad “inciampare” nel Phubbing, termine coniato nel 2013 per descrivere l’abitudine di snobbare qualcuno a favore di un telefono cellulare; per restare concentrati sul device digitale tendiamo a evitare di relazionarci con le persone.
Il Multitasking è un altro rischio: il termine è stato coniato negli anni Sessanta, con l’avvento dei primi computer, per descrivere l’abilità di un calcolatore elettronico di realizzare velocemente molti compiti. Per l’individuo definisce il tentativo di slittare continuamente da un compito all’altro, che porta a cali di attenzione e di produttività.
Sia nel caso del Phubbing sia del Multitasking l’individuo combatte lo stress digitale mettendo in atto comportamenti che in realtà favoriscono il suo incremento.
Ma allora è davvero possibile parlare di Benessere Digitale?
Un approccio di metodo può consentire all’individuo di raggiungere un buon livello di benessere digitale: possiamo individuare quattro principali strumenti, che evidenziamo in questa scheda:
Un’ulteriore soluzione è quella di adottare degli strumenti “pre-commitment” che consentono all’individuo di avere un controllo strategico su comportamenti o azioni.
Un esempio: l’uso di un timer applicato a pc o cellulare per impedire l’accesso a internet per un certo periodo di tempo; in questo modo la tecnologia ci aiuta a gestire lo stress digitale.
Nella ricerca del benessere digitale le organizzazioni devono assumere un ruolo strategico di guida e orientamento: l’adozione di percorsi di formazione può contribuire a favorire e mantenere il benessere digitale dei lavoratori, aiutandoli a riconoscere e superare le criticità che derivano dell’iperconnessione.
L’obiettivo comune è creare una nuova cultura per il lavoro digitale, in equilibrio tra esigenze individuali, performance e produttività.Lavorare in modo attento e accurato sul benessere digitale è infatti un tassello fondamentale per favorire il passaggio da un’esperienza di lavoro agile “forzato”, dettato quindi dalle circostanze emergenziali, a un’esperienza di smart working reale, flessibile, positivo.
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